Cosa comporta per l'autore il fallimento dell'editore?

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Il fallimento dell'editore: cosa comporta?

Spesso ci troviamo ad assistere clienti che hanno stipulato un contratto di edizione e, prima o dopo la pubblicazione dela loro opera, vedono fallire la loro casa editrice.
Cosa accade?

Un errore molto comune è quello di credere che dopo il fallimento del precedente editore, il contratto di edizione in essere si annulli di diritto e si possa quindi ritornare liberi sul mercato, cercando un nuovo editore oppure magari ripubblicando la medesima opera in self.

In realtà, come statuisce l’articolo 135 della legge sul Diritto d’Autore (legge 633/1941) “il fallimento dell’editore NON determina la risoluzione del contratto di edizione.”
Il contratto di edizione è risolto soltanto “se il curatore, entro un anno dalla dichiarazione del fallimento, non continua l’esercizio dell’azienda editoriale o non la cede ad un altro editore nelle condizioni indicate nell’art. 132.”

Pertanto, al momento della dichiarazione di fallimento dell’editore, il contratto di edizione rimane in uno stato di “congelamento”, in attesa che il Curatore fallimentare faccia le sue scelte.
Infatti è il Curatore che ha il potere di decidere cosa fare, mentre l’Autore deve purtroppo limitarsi ad attendere le sue determinazioni.

Il primo consiglio è pertanto quello di fare attenzione: se l’Autore prova a ignorare il contratto ancora in essere, sarà passibile di venir considerato inadempiente e quindi condannabile ad eventuali risarcimenti danni.

Ma quali sono le scelte a disposizione del Curatore?
Entriamo un po’ nel dettaglio.
A)     Nel caso di opera già consegnata, il Curatore può dare esecuzione al contratto e quindi stampare e riprodurre l’opera, pagando il compenso pattuito all’autore.
B)     Nel caso in cui il contratto di edizione sia stato formalizzato, ma l’autore non abbia ancora consegnato l’opera, il Curatore può chiedere la consegna ed eventualmente agire in giudizio per ottenere l’adempimento dell’Autore (a meno che l’Autore non decida di ritirare l’opera dal commercio per gravi ragioni morali, ex art. 142 l.d.a – in questo caso però l’Autore deve indennizzare chi aveva acquisito i diritto di riprodurre e pubblicare l’opera: dovrà cioè pattuire con il Curatore il pagamento di una somma che andrà a soddisfare la massa dei creditori).

Il Curatore può inoltre decidere di affittare o alienare l’azienda (la casa editrice in questione), cedendo anche i contratti di edizione già in essere, e per questa decisione non sarà necessario il consenso dell’autore ceduto.
Sono semplicemente richiesti due requisiti:
1) il cessionario deve essere un editore;
2) la cessione deve avvenire entro un anno dalla declaratoria del fallimento.

In passato, sono state tentate azioni di opposizione da parte di autori che non volevano essere improvvisamente ceduti, sul presupposto del pregiudizio alla reputazione, ma sul punto la giurisprudenza è stata piuttosto rigorosa: la cessione dei contratti da un editore importante a un editore minore NON costituisce di per sé motivo di pregiudizio alla reputazione.

L’ultima possibilità è che il Curatore non continui il contratto né ceda l’azienda ad altro editore entro un anno dalla declaratoria. Ebbene, solo in questo caso arriva l’agognata libertà, con la risoluzione del contratto di edizione.
L’autore rientra in possesso dell’opera e dei diritti inerenti allo sfruttamento, con in più la possibilità di insinuarsi nel passivo fallimentare per crediti maturati e non ancora saldati (può inoltre chiedere di ricevere le copie invendute, pagando i relativi costi al Curatore); in via speculare, l’editore fallito ha invece diritto al rimborso delle spese di stampa per le eventuali copie residue.


Silvia M. Moro
AVVECOMM LEGAL

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