Perché le PMI devono valutare canali di finanziamento alternativi

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Perché le PMI devono valutare canali di finanziamento alternativi

La crisi pandemica da Covid-19 ha avuto un forte impatto sull’attuale panorama economico-finanziario mondiale, producendo una “crisi sistemica globale” e uno shock simmetrico che ha colpito il lato della domanda e il lato dell’offerta simultaneamente.
Tutti i Governi e le Banche Centrali hanno messo in campo misure straordinarie, sia di natura monetaria che fiscale, per far fronte alla situazione emergenziale in corso.
Gli ingenti aiuti statali in particolare hanno consentito a molte imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni (“PMI”), di scongiurare, al presente, possibili fallimenti.
Nel delineato contesto, il ricorso a forme di finanziamento alternativo e complementare al canale tradizionale, unitamente all’ampliamento delle misure di sostegno pubblico offerte alle PMI, ivi inclusi Minibond e Basket Bond, potrebbe permettere alle imprese in difficoltà non solo di reperire la liquidità necessaria a finanziare gli obiettivi di medio lungo periodo, ma anche di rafforzare la capital structure sia in termini di diversificazione delle fonti che di maturity.
In altri termini, le Istituzioni nazionali ed europee hanno a buona ragione reputato di affiancare alle forme di finanziamento tradizionali, modalità alternative di approvvigionamento delle risorse finanziarie.
A prescindere dall’eccezionale congiuntura economica in cui il Paese si trova, la complementarità degli strumenti c.d. alternativi rispetto al sistema bancario, un’impostazione tipica dei mercati evoluti, ha il potenziale di supportare le imprese (anche in bonis) nel reperimento di finanza a medio/lungo termine.
Come è noto, l’Italia è un Paese fortemente caratterizzato da un sistema “banco-centrico” (con una tendenza maggiore rispetto ad altri Paesi europei).
Nonostante ciò, a causa di diverse ragioni, per la maggior parte legate al fatto che generalmente le informazioni economico-finanziarie a disposizione non sono sufficienti per un’adeguata valutazione del merito creditizio o per l’attribuzione di un rating, le PMI hanno meno opportunità di accesso a finanziamenti concessi da istituti di credito.
Tuttavia, le stesse non riescono a compensare tali limitazioni all’accesso al credito bancario con il ricorso al mercato del capitale.
A testimonianza di quanto sopra, la quota del PIL italiano sul totale europeo, secondo i più recenti dati pubblicati dall’OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development), è pari all’11%; tuttavia, solamente il 3% della raccolta del capitale effettuata sul mercato obbligazionario europeo viene realizzata da società aventi sede in Italia. In termini complessivi, il mercato italiano dovrebbe triplicare la raccolta del capitale attraverso il mercato obbligazionario, al fine di attestarsi sulla media europea.
In circolazione si trova una massa enorme di liquidità, che le imprese non riescono però ad intercettare efficacemente attraverso i canali tradizionali del sistema bancario a causa delle sempre maggiori restrizioni della normativa di vigilanza, dei maggiori livelli di patrimonializzazione da mantenere, dei tempi stretti per la gestione di incagli e sofferenze, etc.
Ciò non significa che le banche non possano più essere le interlocutrici giuste, ma che le forme tecniche dovranno essere ricercate al di fuori dei canali tradizionali.

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