Possibile responsabilità del datore per contagio da Covid-19 del dipendente

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Possibile responsabilità del datore per contagio da Covid-19 del dipendente

L'inosservanza delle norme per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro potrebbe determinare in capo al datore di lavoro una responsabilità civile e penale? Leggendo il DPCM 26 aprile 2020 e la circolare n. 13/2020 dell'Inail la risposta potrebbe essere positiva e,  proprio alla luce di questi provvedimenti, in questi giorni abbiamo assistito ad un’intensa querelle che sembra aver trovato il definitivo componimento grazie all’ultimo comunicato stampa pubblicato dall’Inail e datato 15 maggio 2020.
Il codice civile, all’art. 2087 c.c., prevede la responsabilità del datore di lavoro per la mancata osservanza delle norme a tutela dell'integrità fisica dei prestatori di lavoro e il D.Lgs. n. 81/2008 (T.U. Salute e Sicurezza sul lavoro) fornisce tutte le norme in materia di salute e di sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro.
In questo contesto normativo si è inserito il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, c.d. “Decreto Cura Italia” che, all'art. 42 comma 2, stabilisce che l'infezione da coronavirus deve essere ritenuta una malattia che merita di copertura Inail, laddove sia stata contratta “in occasione di lavoro”. Conferma la ritroviamo anche nella circolare Inail n. 13 del 3 aprile 2020.
Ed ecco che a creare ancor più confusione nell’immenso coacervo delle norme che si sono succedute in questo brevissimo lasso di tempo, è intervenuto l’articolo 2, comma 6, del DPCM 26 aprile 2020, che impone a tutte le imprese, non sottoposte a lockdown, a mettere in atto il “ protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali.
Tanto è bastato per ritenere che la mancata adozione pedissequa di tale protocollo potesse determinare una responsabilità civile e penale del datore di lavoro.
A nulla è valso il chiarimento fornito dall’Inail nella circolare n. 13/2020, laddove ha affermato che “Nell’attuale situazione pandemica, l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico. Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus. A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari.
Il dubbio permaneva per tutti gli altri lavoratori, verso i quali non vi era alcuna presunzione semplice dell’origine professionale della malattia. Invero, l’onere della prova rimane sempre in carico al lavoratore, che dovrà dimostrare l’origine professionale della malattia e, al contempo, dimostrare la colpevolezza del datore di lavoro e l’assenza di altre cause esterne di contagio.
Resta da chiarire se l’adesione parziale al protocollo governativo determini il raggiungimento della prova da parte del dipendente che assuma l’origine professionale della malattia.
Un chiarimento arriva dall’INAIL che, con il comunicato stampa del 15 maggio 2020, chiarisce il punto, escludendo la responsabilità datoriale, se non in presenza di dolo o colpa grave.
Si legge nella circolare “In riferimento al dibattito in corso sui profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro per le infezioni da Covid-19 dei lavoratori per motivi professionali, è utile precisare che dal riconoscimento come infortunio sul lavoro non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro. Sono diversi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail per la tutela relativa agli infortuni sul lavoro e quelli per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che non abbia rispettato le norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Queste responsabilità devono essere rigorosamente accertate, attraverso la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative Inail.
Pertanto, il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza in tale ambito del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del pubblico ministero. E neanche in sede civile il riconoscimento della tutela infortunistica rileva ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo per aver causato l’evento dannoso.
Al riguardo, si deve ritenere che la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico, rendano peraltro estremamente difficile la configurabilità della responsabilità civile e penale dei datori di lavoro
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